Il Bunker
(il gran ballo dei
100)
La notte la passai tra sogni, incubi e deliri alcolici.
Per festeggiare mi ero concesso qualche drink di troppo e
quello era l’inevitabile risultato.
Ma non potevo permettermi il lusso di giacere sugli allori,
non ero dentro, non ancora.
Prove difficili mi attendevano.
Ero spaventato ed eccitato - è una guerra – pensai.
Ci avevano convocato alle nove del mattino seguente, quel
giorno l’afa era soffocante.
L’attesa durò quasi tutta la mezza giornata.
Ingannai il tempo facendo amicizia con altri aspiranti chef,
c’era un bel campionario di società tra di loro: imbianchini, idraulici,
studenti, avvocati e casalinghe.
Ma anche palestrati iper tatuati, ciccioni, bionde sia belle
che brutte, ragazzi in jeans e altri curatissimi in eccentriche tenute da vittime
del fashion.
Dopo qualche altra estenuante ora d’attesa ci radunarono, ci
diedero dei grembiuli bianchi e ci fecero marciare al passo dell’oca per tutte
le stradine adiacenti allo studio mentre ci riprendevano con due o tre
telecamere.
Le scene si ripeterono tre, quattro, cinque volte, tra il
caldo che fiaccava le energie ed un certo nervosismo generale. Nessuno si
aspettava cosa sarebbe poi successo.
Finalmente si spalancarono le porte del bunker.
L’aria condizionata strideva di condensa appena si scontrava
con le luci del set, il fumogeno usato per la scena faceva il resto, condendo
l’atmosfera di mistero e tensione.
Ci accatastarono in dieci file da dieci…
Se la matematica non è un opinione fa cento.
Cento speranzosi aspiranti chef per appena diciotto posti
disponibili.
Si, era una guerra.
Dopo un breve e mellifluo discorso arrivò un ribaltabile.
Luci gialle di avvertimento colorarono l’aria seguiti da un
rumore meccanico e greve, il contenuto del camioncino iniziò a rotolare sul
pavimento.
Patate.
Tonnellate di patate.
Quello che più ricordo è l’odore umido dell’amido delle
patate e quello acre e metallico del sangue.
I coltelli in dotazione erano affilati come rasoi e in molti
si affettarono dita e mani, me compreso. Ci era stato detto della presenza di
un’unità di soccorso che, in effetti, ebbe il suo bel da fare per tutta la
durata della prova. Il procedimento standard di medicazione in quei casi era il
seguente: tamponare la ferita con un disinfettante, incerottare e coprire la
mano con un guanto in lattice monouso.
Dopo la prima ora della gara il 40% di noi aveva un cerotto
e un guanto, percentuale che salì all’89% a gara ultimata. Anch’io mi ero
ferito, ma approfittai delle miracolose capacità curative dell’amido per
sfoderare una rigenerazione dei tessuti che manco il vecchio Wolverine. I
piccoli taglietti che mi ero procurato a contatto con le patate si
rimarginavano quasi subito, ed era un sollievo non dover indossare quei guanti.
Quindi gente, se vi tagliate o scottate metteteci su una patata, funziona,
giuro!
La sfida era appassionata, le bucce delle
patate affollavano ormai le postazioni. Avevo le scarpe stracolme di scarti e
poi c’erano loro, i tre giudici.
Avanzavano tra i banchi da lavoro come il sergente Hartman
di Apocalipse Now tra le fila dei
marines, osservando, scrutando, cercando la loro personalissima “palla di
lardo” da deridere e cacciar via dal programma. Detta così può sembrare
terrificante ma vi assicuro che lo era.
Dopo un paio di ore di lavoro avevo assistito ad un paio di
feroci bocciature ( “queste patate ti sembrano tagliate dalla stessa misura? E
Allora!? Sei fuori!!!”, faceva uno, e l’altro :”la tua lintezza è diludente…
sei liminato, mi spiace!”) ma anche a qualche sofferta vittoria.
Arrivò il mio turno, in due si misero davanti a me e mi
scrutarono per un paio di lunghissimi minuti. Rovistarono tra le patate che avevo
affettato, alcune a “saponetta”, altre a
“point neuf”, proprio come ci era stato chiesto. Uno ostentava uno sguardo di
ghiaccio, carisma, e l’impressionante sensazione che con quegli occhi sarebbe
riuscito a guardarti dentro. L’altro sotto sottili ed eleganti occhialini
sorrideva, non capivo se il suo sorriso fosse ironico o no, ma non era affatto
rassicurante.
Poche veloci battute ed una pacca sulla spalla mi fecero
capire che era fatta, ero dentro.
Ad un tratto squilla un cellulare. Ma come? nel bel mezzo di uno show televisivo?
C'era un ragazzo alto e barbuto, somigliava parecchio a James Caviezel, si quello che ha fatto la passione di Cristo. Il cellulare era il suo. Il tipo venne immediatamente circondato da assistenti di studio assetati di sangue. Il cellulare fu spento e sequestrato all'istante. Il bello della non diretta.
Le ore passarono e si sommarono alle altre, ne erano passate
circa sei e ancora c’era gente che affettava e tagliava come matti. Quella
volta circa la metà dei cento speranzosi aspiranti chef scivolò sotto un mare
di bucce di patata, ma era solo una battaglia, la guerra vera era appena
iniziata.
Tips &Tricks
PATATE
miniminagghi